Intervista di Gianluca Clerici
10 gennaio 2020
Trovo che in oltre 3 anni di rubrica mai abbiamo avuto di ritorno risposte così piene di vita e di interesse. Di qui l’invito ai nostri lettori di leggere con cura e con passione… la stessa che arriva copiosa da Francesco Sossio Sacchetti e da tutta la SOSSIO BANDA. 10 ANNI DI CARRIERA e non è un caso che da grandi artisti quali sono tornino indietro risposte di livello. Dieci anni che festeggiano con un disco dal titolo “Ceppeccàt”: un lavoro di peccati mortali, capitali, sette inediti come sette vizi, come sette pitture a olio sul mondo popolare, dalle nostre terre del sud ai più contaminati scenari balcanici. E non solo… non potevamo ascoltare con incanto le loro risposte alle consuete domande di Just Kids Society:
Parlare di musica oggi è una vera impresa. Non ci sono più dischi, ascolto, cultura ed interesse. Almeno questa è la denuncia che arriva sempre da chi vive quotidianamente il mondo della cultura e dell’informazione. Che stia cambiando semplicemente un linguaggio che noi non riusciamo a codificare o che si stia perdendo davvero ogni cosa di valore in questo futuro che sta arrivando?
Credo che questa sia una frase che sistematicamente si ripete nel tempo nella storia della musica: dicevano le stesse cose allorquando uscirono i Beatles, il rock, il punk, tutto ciò che andava a rompere gli schemi e a scontrarsi con la consuetudine.
Credo che oggi ci siano un po’ più di omologazione e appiattimento, soprattutto nella scelta delle programmazioni da parte dei grandi mass-media, televisione e radio nazionali in primis.
Ma se dovessimo solo pensare a quanta varietà, differenziazione, qualità e bellezza abbiamo a portata di click, si apre un mondo infinito di musica, cultura, suoni, strumenti etc. Avere la possibilità di conoscere e viaggiare stando seduti a casa, è un avvenimento straordinario da un punto di vista culturale.
Il problema principale è che uno dei peccati più diffusi nella società tecnologica in cui viviamo è l’accidia e la passività che ne deriva; siamo sempre più pigri, meno curiosi, viviamo in un mondo che forse corre troppo e non ci prendiamo mai un po’ di tempo per esplorare, scoprire e conoscere tutto ciò che sta al di fuori del nostro orizzonte.
Spesso ci accontentiamo di quello che “ci passano” e in questo senso l’impoverimento culturale è evidente. Per fortuna però, Festival e artisti “di nicchia” hanno il loro pubblico e il loro seguito, noi tutti attendiamo con ansia un interessamento anche mediatico. Il linguaggio, i mezzi, i valori, le società cambiano, guai se non fosse così, fa parte della natura umana nel bene o nel male.
E se è vero che questa società del futuro sia priva di personalità o quanto meno tenda a sopprimere ogni tipo di differenza, allora questo disco in cosa cerca – se cerca – la sua personalità e in cosa cerca – se cerca – l’appartenenza al sistema?
Non sono del tutto d’accordo con questa affermazione: la società di oggi ha la sua personalità, ed è quella del 2019, con tutte le sue molteplici sfumature; chi cerca di annullare le differenze, di omologare, di ridurre tutto ad una questione di identità ed etnia, è fuori dal tempo e dal mondo.
La diversità è ricchezza e bellezza!
Le libertà conquistate nei secoli, a caro prezzo, offrono a tutti la possibilità di scegliere, di avere un pensiero divergente, di decidere da che parte stare.
Chi si allinea alle mode, ad un determinato pensiero politico e di vita, lo fa per scelta non perché costretto, almeno questo dovrebbe accadere nelle “democrazie” occidentali.
La World Music è uno straordinario esempio di come potrebbe e dovrebbe essere il mondo; è il “luogo” dove musicisti provenienti da culture, Paesi, usi e costumi, lingue diverse, si incontrano su uno stesso palco e dialogano con lo stesso linguaggio, quello musicale ed interagiscono con il pubblico. Incontro, mai scontro! Se solo tutti pensassimo al mondo come ad una grande orchestra, dove tutti sono pari per importanza e dignità, dal I violino fino all’ultimo musicista, probabilmente vivremmo in una società migliore. Ai direttori d’orchestra l’arduo compito di dirigerla, ma, ahimè, guardando i potenti della Terra posso senza dubbio dire che non siamo messi benissimo; ma siamo fiduciosi e speranzosi in un futuro migliore per tutti i popoli.
Fare musica per il pubblico o per se stessi? Chi sta inseguendo chi?
La musica prodotta, suonata e goduta nelle quattro mura domestiche può essere sicuramente appagante e divertente per se stessi, ma viene meno alla sua stessa natura.
La musica è un linguaggio e come tale ha bisogno di interlocutori: veicola messaggi, suscita emozioni, in alcune religioni è il mezzo attraverso il quale si entra in contatto con la divinità.
La musica ha bisogno del pubblico e bisogna avere grande rispetto per esso, perché è l’interlocutore, e il linguaggio musicale, indubbiamente il più universale tra tutti i linguaggi, ha una forza e una potenza tali da non poter essere delegata alla fruizione del singolo. Con la Sossio Banda abbiamo un’usanza da sempre. Quando scriviamo un pezzo nuovo e lo completiamo, lo presentiamo e lo eseguiamo per la prima volta davanti al pubblico di casa, a Gravina in Puglia, perché è quello che più di qualunque altro conosce la nostra storia, il nostro percorso ed è anche il più critico e il più attento ai particolari. In genere dopo aver avuto il benestare dei nostri, che raramente si sbagliano, portiamo le nuove composizioni fuori casa, con grande soddisfazione da parte di tutti. È un inseguimento reciproco, c’è poco da fare.
E restando sul tema, tutti dicono che fare musica è un bisogno dell’anima. Tutti diranno che è necessario farlo per se stessi. Però poi tutti si accaniscono per portare a casa visibilità mediatica e poi pavoneggiarsi sui social. Ma quindi: quanto bisogno c’è di apparire e quanto invece di essere?
Bisogna apparire essendo sé stessi! Oggi come oggi non si può prescindere dall’uso dei Social che, a mio avviso, non vanno sempre demonizzati e criticati. Permettono di arrivare ad un gran numero di persone spesso gratuitamente e aiutano a diffondere le proprie opere in tutto il mondo, coprendo spesso quello spazio di informazione e programmazione culturale lasciato libero, più o meno volutamente, dai grossi mass-media. Ognuno ne fa l’uso che ritiene più opportuno e necessario, poi il pubblico ne trae le proprie considerazioni e conclusioni; nella fattispecie, noi che siamo nel mondo della musica da prima dell’avvento dei social, abbiamo oggettivamente qualche difficoltà a stare per così dire al passo con i tempi, ma sfruttiamo la visibilità che questi strumenti ci offrono per pubblicizzare i nostri eventi, i dischi, i videoclip e per promuovere il progetto Sossio Banda.
Personalmente mi crea molto più imbarazzo fare un video in diretta su Fb che stare su un palco davanti a centinaia di persone. Forse per le nuove generazioni è esattamente il contrario, dipende molto da come, quando e dove si è cresciuti e da cosa fa sentire di più a proprio agio.
Non dimentichiamoci che c’è gente specializzata nell’utilizzo dei social, che studia continuamente e da lì trae profitto e reddito, nuovi mestieri, nuove figure professionali.
Credo che in questo non ci sia niente di male.
I colori della tradizione popolare, quella pugliese e quella che arriva dall’est. Un album che gioca a raccontare i vizi capitali ma anche un lavoro che in qualche misura è documento delle radici. Un’opera dell’arte e dell’ingegno, come questo disco, vuole somigliare alla vita di tutti i giorni oppure cerca un altro punto di vista a cui dedicarsi?
È tutta una questione di sangue e Dna, mi spiego meglio, facciamo un giochino.
Alla domanda: “senza riflettere troppo, pensa ad un ritmo”, probabilmente risponderei tarantella della Murgia o Tammurriata; “adesso mettici i fiati” e subito la mia mente vola tra i fiati delle bande pugliesi e tra le fanfare balcaniche; “che melodia suonano?” sicuramente melodie costruite su scale minori armoniche, lidie o minori napoletane; “ok, adesso la voce”, potente, passionale, che canta nel mio dialetto in cui ritrovo ritmo e infinita poesia in una sola parola.
Questo è il nostro punto di partenza, poi ci si lavora su, e si comincia a viaggiare per il Mediterraneo in cerca di nuove soluzioni ritmiche, nuove sonorità, spunti e idee innovative che spesso sono proprio nella musica tradizionale più antica e arcaica, e poi giù in Africa per studiare l’uso delle voci e la scomposizione dei ritmi.
Il vero peccato è che questo viaggio meraviglioso prima o poi debba finire, perché bisogna in qualche modo chiudere il brano che dalla sua configurazione iniziale, ha cambiato decisamente faccia.
Ma le radici ci sono, sono lì e si sentono perché sono custodite nel pensiero e nell’idea primordiale.
Questo disco ha la presunzione di parlare dell’uomo e all’uomo moderno attraverso i suoni, le parole le metafore e soprattutto i vizi che lo contraddistinguono, e quindi parla inevitabilmente della vita di tutti i giorni in questo pazzo mondo, condannandone le cattive pratiche ed esaltandone le buone.
• la Superbia nei confronti dell’ambiente e del mondo animale, che sta portando lentamente all’autodistruzione;
• l’Invidia che serpeggia e mortifica qualsiasi iniziativa, distruggendo i rapporti umani;
• l’Accidia che ha a che fare direttamente con lo scorrere inesorabile del Tempo il quale, stanco di vedersi trascorrere inutilmente, diventa egli stesso accidioso;
• l’Ira che tante vittime ha provocato nella storia dell’umanità ma che allo stesso tempo ha dato la forza a milioni di individui di emanciparsi e conquistare valori universali come la libertà, la democrazia e la dignità personale;
• la Lussuria che sistematicamente si presenta e primeggia in un mondo guidato e governato da essa;
• l’Avarizia che regala una vita misera fondata sul terrore del futuro, in cambio di una morte da ricchi e che si manifesta a livello sociale nell’egoismo, nell’ avarizia di sentimenti verso il prossimo;
• la Gola, fame di potere e denaro, ingordigia di pochi individui che si arricchiscono e speculano a danno della maggioranza.
Il disco offre, interessanti spunti di riflessione su cui poter costruire un modo nuovo e diverso di approcciarsi alla vita nel rispetto degli altri, dell’ambiente, dei più deboli, di se stessi.
Parliamo di live, parliamo di concerti e di vita sul palco. Anche tutto questo sta scomparendo. Colpa dei media, del popolo che non ha più curiosità ed educazione oppure è colpa della tanta cattiva musica che non parla più alle persone o anzi le allontana?
I grandi media hanno sicuramente responsabilità nell’impoverimento culturale e nella scelta della musica da diffondere, perché ormai sono completamente ostaggio delle Major del mercato discografico e quindi non sono più liberi.
Per fortuna c’è un gran bel circuito indipendente in Italia e all’estero, attento e con grande competenze, che si muove soprattutto in internet e che dà voce ad un gran numero di artisti di generi musicali diversi e provenienze le più disparate.
I festival di World music, le rassegne culturali, gli eventi in particolar modo, sono eventi che hanno un gran seguito di pubblico, i media non danno la visibilità che meritano.
Il live non sta scomparendo, altrimenti poveri noi; sicuramente sta cambiando nei luoghi e nei modi in cui viene esercitato.
Fino a qualche anno fa molti eventi dipendevano economicamente quasi per intero dal finanziamento pubblico. Con l’avvento della crisi, gli enti pubblici hanno tagliato in maniera drastica i contributi alla cultura e allo spettacolo e molti festival, rassegne, manifestazioni di vario genere hanno chiuso i battenti. Alcuni, con grandi difficoltà hanno resistito, riuscendo a trovare nuove forme di autofinanziamento e di risorse o semplicemente rendendo gli eventi a pagamento. Oggi lentamente il circuito sta riprendendo vita, sono fiducioso. Il pubblico va educato ed incuriosito, anche attraverso una programmazione che vada al di là delle mode e del “già visto e sentito”, perché è questo che narcotizza veramente un popolo. La curiosità si alimenta con tutto ciò che non si conosce.
Se è vero che la cultura dovrebbe essere per tutti e non solo per chi può permettersi un biglietto, è pur vero che pagare un ingresso anche minimo, 5 – 10 €, ti pone nella condizione di rispettare di più chi lavora su un palco, di esigere silenzio e comportamenti adeguati durante il concerto, e allo stesso tempo ti autorizza a criticare e pretendere che lo spettacolo sia all’altezza del contributo dato.
E quindi, anche se credo sia inutile chiederlo ai diretti interessati, noi ci proviamo sempre: questo lavoro quanto incontra le persone e quanto invece se ne tiene a distanza?
Premesso che “Ceppeccàt” è un concept album sui sette peccati capitali che analizza l’uomo moderno, rispondo alla domanda con una citazione del grande Leo Ortolani:
“I peccatori bruceranno all’inferno per l’eternità!”
– E gli altri?
– “Gli altri chi?”.
E per chiudere chiediamo sempre: finito il concerto della Sossio Banda, il fonico che musica dovrebbe mandare per salutare il pubblico?
Ho vissuto tanti anni a Napoli, capitale del Sud Italia e luogo di scambio culturale incredibile ed ineguagliabile. Io suggerirei al fonico di mettere “Salvamm ‘o munno” del M° Enzo Avitabile, con il quale ho avuto la fortuna di suonare per cinque anni e che ritengo rappresenti l’essenza della World Music in Italia e all’estero. I suoi dischi e il sopracitato in particolar modo a cui sono affezionatissimo, sono un mix perfetto di scambio culturale, collaborazione, messaggi di pace e contaminazioni musicali. Enzo è un grande, e per me è stato una guida, un Maestro, un punto di svolta nella mia vita e per questo non smetterò mai di ringraziarlo.
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