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30 aprile 2020

Queste sono le interviste che danno senso a tutto quello che faccio. Ma che meraviglia!!!

Facciamo un passo indietro: c’è spazio per tanto e anche per tutti in questo salotto virtuale della musica altra che c’è in Italia. Ed oggi cavalco l’onda della tradizione ma anche l’aria pulita della contaminazione e lo faccio sempre senza abbandonare quel piglio culturale che arriva prima dal popolo e poi dalle mode del sistema. Anzi, se proprio vogliamo essere sinceri, qui di sistema e di mode c’è ben poca storia. Francesco Sossio Sacchetti e la sua Banda festeggiano 10 anni di grande carriera e pubblicano un disco pieno di peccato capitale: “Ceppeccàt”, un concept popolare che mette il suo focus dentro i vizi umani, quei sette capisaldi che determinano il bello ed il brutto di essere uomini in questa vita quotidiana. E lo fanno suonando la tradizione, dalla Puglia alla Turchia passando per le strutture del pop e quelle di ballate che, a voler andare ancora indietro, prendono vita dalle credenze religiose. Un disco che, amici cari di Malcom, ha ben ragione di farci ballare e prendere il lato leggero e poetico della fragilità umana. E dunque metto su un Sirtaki prima di accoglierli anche se dentro “Ceppeccàt” c’è ben altro e in ben altra guisa…

Benvenuti in questo salotto virtuale. Mi siedo ad ascoltare questo disco e penso: ma quanta cultura popolare ormai abbiamo perduto? Questo è davvero grave…

Sono solo in parte d’accordo con questa affermazione, almeno per quanto riguarda la Puglia e il Sud Italia ; per fortuna a partire dalla fine degli anni ’70 c’è stato un rinnovato interesse per la cultura popolare, per il revival che era stato un po’ messo da parte negli anni del boom economico dopo le ricerche e le registrazioni di Lomax, Carpitella e De Martino negli anni ’50.
Un buco di poco più di 20 anni che ha gravato si ma non troppo sulla perdita del repertorio popolare, comunque custodito e blindato in molte discoteche e biblioteche private e soprattutto nella memoria dei nostri anziani che lo hanno sapientemente tramandato oralmente ai più giovani.
Il fatto che ritrova della cultura popolare nel nostro disco è la dimostrazione che essa non è né scomparsa né perduta, ma risiede viva e vegeta nel nostro Dna e si ripresenta, magari in una nuova veste, con caratteristiche diverse.
La tradizione va conosciuta, studiata, amata e superata per essere davvero rispettata ed onorata.

La vostra musica la paragona ai dialetti dei piccoli borghi della nostra periferia. Lontani dai costumi dei centri commerciali, lontani dalle origini e dalle tradizioni… che ne pensate?

Contesto l’idea, molto diffusa soprattutto in Italia, che world music sia dialetto e musica popolare.
Il dialetto è una vera e propria lingua ed è soprattutto uno stato mentale: tra di noi parliamo in dialetto, ci amiamo e litighiamo in dialetto, personalmente molte volte sogno e penso in dialetto e poi traduco lo stesso pensiero in Italiano per essere compreso.
È il nostro modo di esprimerci e di dialogare ed essendo la musica un linguaggio fatto di suoni e a volte anche di parole, si avvale del materiale che artisti e musicisti le forniscono.
Esiste la musica classica napoletana ma c’è anche Pino Daniele ed Enzo Avitabile che cantano in napoletano; c’è la musica tradizionale sarda ma ci sono anche i Tazenda e Andrea Parodi; ce ne sarebbero moltissimi altri di esempi da fare. È sempre sbagliato generalizzare e soprattutto cercare di categorizzare la musica in generi o tendenze. A mio avviso è una delle massime espressioni della libertà e della creatività.
C’è anche da dire che erroneamente si pensa alla tradizione come a qualcosa che appartiene al passato dal sapore antico e superato; con un pizzico di nostalgia la si associa spesso agli usi e ai costumi presenti nei racconti degli anziani, ai proverbi ai detti antichi. Non è così, la tradizione è qualcosa di vivo, di presente nel presente: il nostro dialetto, i nostri atteggiamenti e la nostra mentalità, la tradizione è il nostro Dna; si rinnova, cambia faccia e modalità di espressione, ma in realtà noi siamo quelli che siamo stati e saremo in parte quello che oggi siamo: ora è tradizione.
Il nostro disco è pieno di tradizione e radici.

Una sezione di fiati importante. Mi arriva da questo un certo tono di internazionalità al tutto. E ci vedrei anche un certo “soul”… sempre se mi si concede l’uso di parole un po’ forzate ma esplicative nel senso più estetico del termine…

Hai perfettamente ragione e tirando in ballo nuovamente la tradizione, nel nostro caso non possiamo tralasciare quella delle Bande pugliesi. Il suono della Banda ha delle peculiarità ben precise e definite ed è molto identitario, l’internazionalità deriva proprio dalle sue specificità; il suo utilizzo nella nostra musica è molto “Soul” sia nell’uso che nel dialogo con la voce e con gli altri strumenti.
D’altronde ognuno ci mette quelle che sono le proprie esperienze di vita e personalmente da buon sassofonista, di soul, R&B, funky ne ho masticato e suonato tanto in vita mia.
Adoro quel genere di musica ma nel tempo mi sono reso conto che non mi apparteneva più di tanto e così, dovendo avviare un progetto a mio nome che suonasse la mia musica, sono andato alla ricerca della mia identità ritornando alla radice, dalla mamma Puglia. Ho studiato i nostri gospel, canti di lavoro intonati nei campi di tabacco, di grano e negli uliveti, ho riscoperto la meraviglia delle armonie e delle lingue grecofone, la semplicità delle melodie e degli strumenti popolari insomma tutta la ricchezza della musica pugliese e del sud Italia.

Dalla Puglia ai Balcani, alla Grecia, alla Turchia… se quella era (ed è musica) che – se non erro – di base poggia la sua origine sulla preghiera in diverse forme, la vostra da cosa prende origine quando la cerca e la fa sua?

La musica è un linguaggio e come tale ha bisogno di interlocutori: veicola messaggi, suscita emozioni, in alcune religioni è il mezzo attraverso il quale si entra in contatto con la divinità; ha bisogno del pubblico, di cui bisogna sempre avere grande rispetto, ed è indubbiamente il più universale tra tutti i linguaggi con una forza e una potenza tale da non poter essere relegata alla fruizione del singolo o assecondata alle mode, al mercato o al semplice intrattenimento.
Partendo da questa premessa, la nostra musica nasce dall’ esigenza di comunicare la nostra idea di mondo e di “uomo”, per costruire una società migliore; quello dei peccati è stato un pretesto per parlare dell’uomo moderno mettendone in luce tutte le contraddizioni che lo caratterizzano e le conseguenze talvolta disastrose, che scaturiscono allorquando le scelte economiche, politiche e sociali della razza umana sono dettate e pilotate dai vizi:
• la Superbia nei confronti dell’ambiente e del mondo animale, che sta portando lentamente all’autodistruzione;
• l’Invidia che serpeggia e mortifica qualsiasi iniziativa distruggendo i rapporti umani;
• l’Accidia che ha a che fare direttamente con lo scorrere inesorabile del Tempo il quale, stanco di vedersi trascorrere inutilmente, diventa egli stesso accidioso;
• l’Ira che tante vittime ha provocato nella storia dell’umanità ma che allo stesso tempo ha dato la forza a milioni di individui di emanciparsi e conquistare valori universali come la libertà, la democrazia e la dignità personale;
• la Lussuria che sistematicamente si presenta e primeggia in un mondo guidato e governato da essa;
• l’Avarizia che regala una vita misera fondata sul terrore del futuro, in cambio di una morte da ricchi;
• la Gola fame di potere e denaro, ingordigia di pochi individui che si arricchiscono e speculano a discapito della maggioranza.
Quanto alle influenze, è tutta una questione di Dna, mi spiego meglio, proviamo a fare un giochino.
Alla domanda: “senza riflettere troppo, pensa ad un ritmo”, probabilmente risponderei tarantella della Murgia o Tammurriata; “adesso mettici i fiati” e subito la mia mente vola tra i fiati delle bande pugliesi o alle fanfare balcaniche; “che melodia suonano?” sicuramente melodie costruite su scale minori armoniche, lidie o minori napoletane; “ok, adesso la voce”, potente, passionale, che canta nel mio dialetto in cui ritrovo ritmo e infinita poesia in una sola parola.
Questo è il nostro punto di partenza, poi ci si lavora su, e si comincia a viaggiare per il Mediterraneo in cerca di nuove soluzioni ritmiche, nuove sonorità, spunti e idee innovative che spesso sono proprio nella musica tradizionale più antica e arcaica, e poi giù in Africa per studiare l’uso delle voci e la scomposizione dei ritmi.
Il vero peccato è che questo viaggio meraviglioso prima o poi debba finire, perché bisogna in qualche modo chiudere il brano che dalla sua configurazione iniziale, ha cambiato decisamente faccia.
Ma le radici ci sono, sono lì e si sentono perché sono custodite nel pensiero e nell’idea primordiale.
Sono convinto inoltre, che le nostre radici non siano soltanto in Puglia o sulla Murgia, ma affondino nell’intero bacino del Mediterraneo soprattutto in quelle regioni geograficamente più vicine, Balcani e nord Africa in testa.
Noi siamo meticci e questa è la ricchezza più grande che abbiamo, i nostri tratti somatici ci raccontano tutta la nostra meravigliosa storia.

Anche nel video dedicato al vizio dedicato all’avarizia, portate in scena una piazza che danza e che balla come ormai si vede solo in qualche rappresentazione estiva. Secondo voi esiste ancora un’Italia così?

Certo che si, le nostre piazze sono il fulcro della nostra vita sociale e anche le scene del ballo sono state girate in un centro anziani dove quotidianamente i nostri nonni si dedicano alla danza e a tante altre attività.
Nel video, l’unica finzione sta nella storia in sé ma non voglio svelare nulla, l’invito è quello di guardarlo direttamente sul nostro sito, tutto il resto, luoghi, personaggi e azioni, sono assolutamente reali e appartenenti a Gravina in Puglia, luogo in cui viviamo.

Per chiudere: la Sossio Banda resterà per sempre legata a questo stile, concedendosi magari qualche fuori pista di lato, o pensate mai di rivoluzionare il suono e le aspettative?

La Banda vive dell’anima dei musicisti che la compongono con tutto il carico di esperienze di vita, formazione e sensibilità, perciò mai dire mai.
Per il momento ci soddisfano a pieno i suoni e i colori dei nostri strumenti e non abbiamo ancora sentito l’esigenza di sostituirli con altri o di abbinare ad essi elettronica o software; c’è ancora molto da esplorare e sperimentare e spesso sono proprio gli strumenti più antichi a darci suoni e sonorità più all’avanguardia.
C’è da dire che già in questo disco abbiamo apportato delle novità stilistiche, in primis proponendo e scrivendo pezzi in Italiano, cosa che fino ad oggi non era mai accaduta.
Inevitabilmente nei pezzi in italiano le armonie e i tempi assecondano la melodia del canto che sposa a pieno la ricchezza di vocali di cui la lingua nazionale è ricca. Il nostro dialetto invece, essendo quasi privo di vocali, sposta la musica più sul ritmo, ma queste chiaramente sono considerazioni che possono essere smontate e smentite in 2 minuti. La musica è così, non ha regole.
Credo che il prossimo passo sia quello di mischiare e fondere ancor di più dialetto e italiano, in un sound che rispecchi e rispetti entrambe le tradizioni, impresa ardua ma ce la faremo.

 

Dalla rete prendo in prestito il loro modo rionale di cantarci l’avarizia. Ed è un video che a pieno rende visibile il suono di una banda tradizionale pugliese ma anche di un collettivo di anime artistiche che sanno benissimo quanto sia grande il mondo e quanto sia doveroso provarlo ad abbracciare tutto… per quanto si può, senza perdere di vista il segno, la coerenza ma soprattutto il senso del tutto. E la Sossio Banda mette in scena anche una gran bella prova di maturità, gusto e mestiere…