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16/10/2020

Sono 10 gli anni di grande carriera festeggiati da Francesco Sossio Sacchetti e il suo collettivo di musici (passateci la nomenclatura e l’etichetta). Una “banda popolare” che spazia dal pop ai balcani passando per le tradizioni pugliesi dei fiati. E questo nuovo disco ha 7 inediti perché 7 sono i vizi capitali a cui dedicano la loro voce: si intitola “Ceppeccàt”, espressione dialettale che gioca a voler significare che c’è peccato ma anche che peccato! parlando della natura umana, del suo modo di vivere e delle sue inevitabili debolezze.

In rete il bellissimo video de “L’avaro”, sintesi secondo noi completa e seducente dell’aria che si respira in questo disco: opera lontana dai cliché più gettonata, opera che torna all’uomo e alle sue tradizioni, disco di un suono acustico che sa di artigianato antico… un lavoro che torna alle origini, edulcorandole come meglio crede senza mai esagerare nel vizio di apparire. Che questo è un gran bel vizio di tanti ormai…

SGW: Inevitabile non partire dall’aspetto live. Che in fondo caratterizza a pieno il suono della Sossio Banda. Come state vivendo dal vivo in questo periodo assai strano? Si stanno riprendendo un poco le attività ordinarie?

SB: Il live è la nostra linfa vitale e senza di essa siamo in grande difficoltà, è inutile nasconderlo e non solo per l’aspetto economico, che chiaramente si ripercuote sulle nostre vite, quanto per l’aspetto creativo e artistico.
Purtroppo le attività ordinarie sono bloccate e i nostri spazi naturali per esibirci, festival, rassegne, feste ed eventi culturali, sono fermi da Marzo.
Molti ci chiedono di approfittare del momento di stop per produrre nuova musica e nuove cose, ma non è proprio così semplice; la nostra maggiore fonte di ispirazione sono il vissuto, i viaggi, gli incontri, i luoghi, i palchi, il pubblico. Senza di essi è davvero difficile scrivere e comporre qualcosa.
Siamo in Lockdown creativo, diciamo così, ma sono sicuro che alla ripresa ci sarà una grande energia e una spinta creativa esplosiva che ci permetteranno di recuperare il tempo che lentamente sta scorrendo apparentemente inutilmente. Mi piace pensare che stiamo ricaricando lentamente l’energia per poi avere una fonte di carburante inesauribile.

SGW: Ricordando i recenti periodi, floridi come d’abitudine: dal vivo che tipo di spettacolo arriva alla gente? Che aria, che lingua parla, che colori ci sono sul palco…?

SB: Il palco è la nostra casa, il live il nostro habitat naturale; è il luogo dove ci sentiamo più a nostro agio e questo la gente lo avverte e lo apprezza.
Suonare e un po’ come parlare; intonare un canto dei pescatori d’ Egitto con un ritmo popolare pugliese, ci racconta allo stesso tempo del nord Africa e del Sud Italia.
Parlerei più di linguaggio che di lingua: il primo è quello universale della musica con tutto il suo carico di culture, colori e atmosfere provenienti dai quattro angoli della Terra; il secondo è il vernacolo murgiano che si lascia piacevolmente contaminare da altre lingue e altri dialetti.
Nell’ultimo disco abbiamo utilizzato per la prima volta anche l’italiano nelle nostre composizioni e questo è dettato da una scelta stilistica e comunicativa.
Se l’italiano è lo scheletro su cui si fonda la nostra identità nazionale, e permette ad un siciliano e ad un friulano di comunicare, crediamo che i dialetti ne siano l’anima; ci è sembrato giusto e opportuno utilizzarli entrambe.

SGW: “Ceppeccàt” è un disco multietnico – se mi concedete il termine. Sbaglio forse? Nel caso, questo lato cosmopolita, che cosa rappresenta per la vostra identità?

SB: “Ceppeccàt” e la Sossio Banda sono da sempre entità assolutamente multietniche.
Etnia, identità sono termini che se presi dal lato giusto e interpretati in modo corretto e positivo, sono sinonimo di diversità e ricchezza.
Se io ho piena consapevolezza della mia identità, delle mie radici, del mio essere, riesco a distinguere e ad apprezzare ciò che è diverso da me e questo mi accompagna alla fase successiva che è quella dell’apertura e dello scambio interculturale, fondamentale per un arricchimento reciproco; esattamente il contrario di alcune fazioni politiche che invece costruiscono, nel nome nell’identità barriere e muri, recinti in cui chiudersi, sbarrando la strada all’accoglienza e all’accettazione dell’altro.

SGW: Ci saremmo aspettati un nuovo video, dico la verità… eppure suona ancora “L’Avaro” dentro le trame della rete digitale. Non ci avete mai pensato ad una nuova clip ufficiale?

SB: Hai ragione, ed era in programma un’altra clip che sarebbe dovuta uscire a Settembre, ma purtroppo il lockdown con tutte le sue difficoltà negli spostamenti e la conseguente crisi del settore artistico e musicale ha fatto saltare un po’ i programmi.
Non escludo che si possa recuperare il tempo perso, per il momento stiamo un po’ a guardare; riteniamo che la promozione dei nostri “prodotti” artistici, passi inevitabilmente per i live, con presentazioni ed eventi costruiti ad hoc. Ora è tutto fermo, purtroppo. Ci sono i social, ma l’attività degli stessi va affiancata e supportata da un’intensa attività musicale e viceversa.
Se manca uno dei due aspetti non va bene.

SGW: Dico questo perché “Ceppeccàt” l’ho trovato un disco molto visionario… inevitabile misurarne luoghi e fascino estetico…

SB: Ti ringrazio di cuore, è davvero un bel complimento; il disco è il frutto del vissuto e dell’anima dei musicisti che compongono la Banda che oltre a metterci cuore e anima nel progetto, lo arrichiscono con il loro bagaglio culturale e musicale proveniente da zone diverse della Puglia e della Campania.
Infatti la Sossio Banda attualmente è composta da tre musicisti pugliesi (Francesco Sossio, Loredana Savino e Pasquale Barberio) e tre iripini (Valter Vivarelli, Giovanni Montesano e Daniele Castellano).
È l’esempio lampante che il mix di identità e culture è sinonimo di ricchezza e varietà.

SGW: Il più grande peccato della Sossio Banda?

SB: Il vizio direi che è anche una virtù è quello di voler suonare, cavalcando i palchi di tutto il mondo, esplorando luoghi e incontrando genti e culture diverse.
Non riusciamo a farne a meno e forse questo è anche il suo più grande peccato; e non è un caso che in questo periodo stiamo soffrendo molto.
Pace e musica.