di Daniele Poto, 17 febbraio 2014
Roma – Teatro Preneste sabato ha battezzato il debutto discografico della Sossio Banda, energico set dell’alta Murgia che ha scelto Roma per un tour che riassumerà cinque anni di lavoro, praticamente una tournèe infinita on the road che si è concretizzata con la prima pubblicazione. Nove elementi che compulsano strumenti tradizionali (fisarmonica, ciaramelle, tammorre) con contributo di doppia voce femminile e movimenti di danza oltre al funzionale inserimento di Francesco Franco, già membro della Banda. Undici pezzi trascinanti che ammiccano alla tradizione (Matteo Salvatore non è lontano) in un felice mix di musica tradizionale, echi balcanici, world music, etno-jazz in un felice impasto che non è macedonia di suoni ma ricerca in progresso originale anche se per certi versi ancora incompiuta. Due ore di concerto limabili di qualche esercizio accademico (prolungati assoli) ma che ha prodotto il climax del ballo finale popolare e trascinante in cui è stato coinvolto il pubblico, più giovane che mai, con la maestra di danza Angela Donatelli a guidare il collettivo con le sue perfette movenze.
La festa è stata preceduta da un assaggio di prodotti pugliesi (olio fragrante, mozzarelline, affettati) per colorire ancora di più la colorazione etnica dell’evento. La Sossio Banda viene dall’Alta Murgia ma il suo disco profuma di mare (distanze 60 chilometri) perché rimanda continuamente al Mediterraneo. Fosse anche alla tragiche vicende dei migranti affogati nel Mare nostrum. E’ un gruppo che ha già incassato molti premi come il riconoscimento all’Umbria Folk Festival, il Premio Andrea Parodi e il Folkontest. Le collaborazioni con Enzo Avitabile, i Bottari Portici, Cheb Kaled e Femi Kuti hanno lasciato il segno anche nel senso di un’acquisita spettacolarità e padronanza del palcoscenico, come testimoniato dalla “prima” romana. In questo contesto non potevano mancare festosi e convinte richieste di “bis”. “Sugne” (Sogno) è il titolo del disco. Sul cd le parole spiccano più riconoscibili e rimandano a un’identità primaria, fatta anche di “pane e cipolle”, di prodotti semplici della terra, frutto della fatica dei contadini locali.
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